L'azzurro paralimpico: "Spesso si pensa che se uno non
vede una cosa non la può capire, ma non è così, a patto che i ragazzi vengano
presi e portati presto a vivere una vita sovrapponibile a quella dei propri
coetanei che vedono".
Venticinque titoli mondiali, ventisette europei, quarantuno
titoli italiani nello sci nautico paralimpico. A questo si aggiungano diversi
record del mondo e l’elezione per tre volte ad atleta mondiale dell’anno dalla
federazione mondiale. Inoltre, nel 2021 è stato nominato atleta della decade.
Basterebbe questo per affermare che Daniele Cassioli è un grande sportivo. Ma è
molto di più: il suo continuo cercare di coinvolgere i ragazzi nelle attività
motorie, la sua ricerca di inclusione e la sperimentazione di diverse forme di
aggregazione fanno di lui una persona che sa guardare oltre l’ostacolo. Cieco
dalla nascita, Daniele non si è mai arreso e ha sempre affrontato la vita con
il sorriso fra le labbra e una parola giusta al momento giusto. Grande atleta,
ma soprattutto grande comunicatore, attraverso i suoi incontri nella scuola
insegna il vero significato dell’inclusione e a superare le difficoltà. Ha
raccontato con un microfono la partita di Serie A Roma-Empoli, un qualcosa di
innovativo e che non era mai stato fatto. Le attività che coinvolgono le
persone con disabilità allo stadio sono sempre più frequenti: la Roma ne ha
fatte diverse, sia andare a prendere ragazzi e tifosi con disabilità che poi
mettere loro a disposizione le radioline. La cosa bella è che l’iniziativa è
stata chiamata "Superiamo gli ostacoli" e ovviamente è chiaro il
riferimento al coro della curva. La novità è stata un po’ la voglia di
raccontare questo progetto attraverso l’esperienza, poi esso è andato in onda
anche su Rai 3 nel programma "O anche no". Conosciamo meglio Daniele,
leggendo stralci di un articolo tratto da “La
Gazzetta dello Sport”.
"I miei genitori hanno sempre avuto quest’intuizione
di farmi vivere gli eventi, dalla partita allo stadio alle partitelle con gli
amici, quando io purtroppo non potevo giocare. Tutto questo mi ha permesso di
associare ai rumori le azioni: dal tocco di palla alle urla per una bella
azione, fino a capire la zona del campo da cui arriva quel suono".
Lei è un gran tifoso romanista.
"Esatto, adesso vivo al Nord da tantissimi anni, ma
la passione è rimasta. Quando mi dicono: ‘Tu che non vedi, qual è il tuo colore
preferito?’, giallo e rosso perché sono quelli che in qualche modo mi
appartengono".
Ha anche portato i ragazzi a vivere un’esperienza
inclusiva nel basket.
"Sì, insieme alla lega ci è venuto in mente di
portare avanti questa iniziativa di allenare i bambini all’inclusione, quindi
attraverso un evento come la Final Eight di Coppa Italia portare dei bambini ciechi
a vivere la partita, soprattutto attraverso il racconto di coetanei vedenti; da
quell’esperienza anche chi vede se n’è andato arricchito. Andare a toccare i
giocatori, per esempio, perché chi non vede non sa cosa significhi avere
davanti una persona alta due metri che porta cinquanta di scarpe. Il messaggio
è quello di ‘sporcarsi le mani’ e non stare sempre davanti alla tv. Noi abbiamo
visto Brescia-Milano e ho percepito anche da parte delle squadre una
sensibilità che dimostra quanto questi mondi, anche di altissimo livello, siano
comunque pronti a farsi portavoce di partite che sono molto più lunghe e molto
più ampie e che possono portare un altissimo valore aggiunto ad una
comunità".
Lei è attivo anche nel calcio a 5 ipovedenti?
"Sì. Il calcio a 5 ipovedenti a livello nazionale è
un movimento purtroppo poco strutturato. Prima lo era molto di più, adesso sta
passando un periodo complesso; si sono persi praticanti. Attraverso
l’associazione Real Eyes Sport abbiamo pensato di fare questa squadra a Milano,
ma le partite durante l’anno sono poche e gli impianti non sempre all’altezza.
Una soluzione sarebbe che si abbia anche nei confronti dello sport paralimpico
un approccio dirigenziale più professionale, con persone che abbiano esperienza
e capacità che finora non sono emerse. Poi, fino a quando un oculista, un
neuropsichiatra infantile o uno psicologo non consigliano lo sport ai giovani
disabili, avremo perso tutti”.
Lei è un grandissimo campione di sci nautico, come nasce
questa passione?
"Grazie alla cecità. Io sognavo di giocare a
calcio, ma per le persone disabili non esistono settori giovanili, figuriamoci
nel ‘94-‘95. E quindi, passato il primo momento di dolore, ci siamo chiesti: ma
che cosa può fare chi non vede? E quindi scoprimmo che si poteva sciare sulla
neve e sull’acqua. Ora è diventata la mia malattia sana".
Come ha conosciuto il mondo paralimpico?
"Anche questo grazie alla cecità, perché i miei non
erano grandi sportivi, però mio fratello faceva sport e loro hanno pensato che
fosse normale lo facessi anch’io. I miei genitori mi hanno educato come Daniele
più che come cieco e questo ha fatto la differenza. Il fatto di crescere da un
punto di vista sportivo, ma anche personale, mi ha poi avvicinato a questo
mondo perché sentivo che c’erano persone molto allineate a quella che era la
mia visione. Adesso sono anche membro di giunta CIP: mi inorgoglisce, ma ancora
di più mi trasferisce questo senso di responsabilità".
Che rapporto ha con i social?
"È strano pensare che Instagram sia fatto di
immagini, però il mondo è ora pervaso da tutto questo. Una notizia, anche
bellissima, se comunicata male conta poco. L’ambizione più grande è unire la
sostanza ad una comunicazione adeguata. Io vado molto nelle scuole e dopo gli
incontri i ragazzi mi scrivono perché questa è la loro modalità. Quindi da
quando ho iniziato, ho capito che la partita non si gioca solo nell’ora e mezzo
in cui si sta insieme. Bisogna anche accettare e gestire queste dinamiche da
social. È un po’ una partita fuori casa per me, però ne vale la pena: un conto
è veicolare un messaggio a 50 persone, un conto a 50 mila".
Lei è laureato in fisioterapia, quanto è stato
importante?
"Molto. All’inizio furono molti i pregiudizi, ma
poi la soddisfazione personale fu tanta. Quando una persona viene messa nelle
condizioni di lavorare, può dare più. Il lavoro è importante anche perché si
viene a creare una propria dimensione. Quando ci si incontra con le persone, si
parla degli interessi, del lavoro. Poi io negli ultimi anni un po’ virato sulla
formazione aziendale, quindi uso la metafora sportiva anche per portare
contenuti di valore nelle aziende".
Lei ha anche scritto due libri, "Il vento
contro" e "Insegnare al cuore a vedere".
"È stata una grande soddisfazione. Il fatto che De
Agostini abbia sposato questo mio progetto mi ha fatto sentire molto
gratificato. È stato un percorso dentro di me in primis e poi è stato un
percorso anche di grande rispetto nei confronti del lettore, quindi ce l’ho
messa tutta".
Prossimi obiettivi?
"I Mondiali a settembre a Sacramento, in
California. Purtroppo per la mia federazione non è un momento facile perché è
commissariata, però mi auguro e credo che saremo in grado di costruire la
stagione sportiva. A livello personale, l’obiettivo è di crescere sul piano
professionale, quindi continuare a occuparmi di formazione perché sono il primo
che da questa professione porta a casa tanto".
Sogno nel cassetto?
"Che ogni bambino con disabilità faccia sport e che
ogni bambino faccia sport. Bisogna riprendere il contatto quotidiano con il
movimento. Nelle mie visite a scuola, dei professori mi hanno confidato che
alcuni ragazzi alle prime difficoltà si scoraggiano: questo ci fa rendere conto
che i ragazzi non sono abituati a confrontarsi con le difficoltà, invece lo
sport ti aiuta in questo e ti fa crescere. È un continuo confronto con le
difficoltà".