Associazione Pugliese per la Retinite Pigmentosa - ODV
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Guardare oltre l'ostacolo:

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anno diciassettesimo n.649                              15 marzo 2023

Guardare oltre l’ostacolo

L'azzurro paralimpico: "Spesso si pensa che se uno non vede una cosa non la può capire, ma non è così, a patto che i ragazzi vengano presi e portati presto a vivere una vita sovrapponibile a quella dei propri coetanei che vedono".

 

    Venticinque titoli mondiali, ventisette europei, quarantuno titoli italiani nello sci nautico paralimpico. A questo si aggiungano diversi record del mondo e l’elezione per tre volte ad atleta mondiale dell’anno dalla federazione mondiale. Inoltre, nel 2021 è stato nominato atleta della decade. Basterebbe questo per affermare che Daniele Cassioli è un grande sportivo. Ma è molto di più: il suo continuo cercare di coinvolgere i ragazzi nelle attività motorie, la sua ricerca di inclusione e la sperimentazione di diverse forme di aggregazione fanno di lui una persona che sa guardare oltre l’ostacolo. Cieco dalla nascita, Daniele non si è mai arreso e ha sempre affrontato la vita con il sorriso fra le labbra e una parola giusta al momento giusto. Grande atleta, ma soprattutto grande comunicatore, attraverso i suoi incontri nella scuola insegna il vero significato dell’inclusione e a superare le difficoltà. Ha raccontato con un microfono la partita di Serie A Roma-Empoli, un qualcosa di innovativo e che non era mai stato fatto. Le attività che coinvolgono le persone con disabilità allo stadio sono sempre più frequenti: la Roma ne ha fatte diverse, sia andare a prendere ragazzi e tifosi con disabilità che poi mettere loro a disposizione le radioline. La cosa bella è che l’iniziativa è stata chiamata "Superiamo gli ostacoli" e ovviamente è chiaro il riferimento al coro della curva. La novità è stata un po’ la voglia di raccontare questo progetto attraverso l’esperienza, poi esso è andato in onda anche su Rai 3 nel programma "O anche no". Conosciamo meglio Daniele, leggendo stralci di un articolo tratto da “La Gazzetta dello Sport”.

 

 

    "I miei genitori hanno sempre avuto quest’intuizione di farmi vivere gli eventi, dalla partita allo stadio alle partitelle con gli amici, quando io purtroppo non potevo giocare. Tutto questo mi ha permesso di associare ai rumori le azioni: dal tocco di palla alle urla per una bella azione, fino a capire la zona del campo da cui arriva quel suono".

 

    Lei è un gran tifoso romanista.

 

    "Esatto, adesso vivo al Nord da tantissimi anni, ma la passione è rimasta. Quando mi dicono: ‘Tu che non vedi, qual è il tuo colore preferito?’, giallo e rosso perché sono quelli che in qualche modo mi appartengono".

 

    Ha anche portato i ragazzi a vivere un’esperienza inclusiva nel basket.

 

    "Sì, insieme alla lega ci è venuto in mente di portare avanti questa iniziativa di allenare i bambini all’inclusione, quindi attraverso un evento come la Final Eight di Coppa Italia portare dei bambini ciechi a vivere la partita, soprattutto attraverso il racconto di coetanei vedenti; da quell’esperienza anche chi vede se n’è andato arricchito. Andare a toccare i giocatori, per esempio, perché chi non vede non sa cosa significhi avere davanti una persona alta due metri che porta cinquanta di scarpe. Il messaggio è quello di ‘sporcarsi le mani’ e non stare sempre davanti alla tv. Noi abbiamo visto Brescia-Milano e ho percepito anche da parte delle squadre una sensibilità che dimostra quanto questi mondi, anche di altissimo livello, siano comunque pronti a farsi portavoce di partite che sono molto più lunghe e molto più ampie e che possono portare un altissimo valore aggiunto ad una comunità".

 

    Lei è attivo anche nel calcio a 5 ipovedenti?

 

    "Sì. Il calcio a 5 ipovedenti a livello nazionale è un movimento purtroppo poco strutturato. Prima lo era molto di più, adesso sta passando un periodo complesso; si sono persi praticanti. Attraverso l’associazione Real Eyes Sport abbiamo pensato di fare questa squadra a Milano, ma le partite durante l’anno sono poche e gli impianti non sempre all’altezza. Una soluzione sarebbe che si abbia anche nei confronti dello sport paralimpico un approccio dirigenziale più professionale, con persone che abbiano esperienza e capacità che finora non sono emerse. Poi, fino a quando un oculista, un neuropsichiatra infantile o uno psicologo non consigliano lo sport ai giovani disabili, avremo perso tutti”.

 

    Lei è un grandissimo campione di sci nautico, come nasce questa passione?

 

    "Grazie alla cecità. Io sognavo di giocare a calcio, ma per le persone disabili non esistono settori giovanili, figuriamoci nel ‘94-‘95. E quindi, passato il primo momento di dolore, ci siamo chiesti: ma che cosa può fare chi non vede? E quindi scoprimmo che si poteva sciare sulla neve e sull’acqua. Ora è diventata la mia malattia sana".

 

    Come ha conosciuto il mondo paralimpico?

 

    "Anche questo grazie alla cecità, perché i miei non erano grandi sportivi, però mio fratello faceva sport e loro hanno pensato che fosse normale lo facessi anch’io. I miei genitori mi hanno educato come Daniele più che come cieco e questo ha fatto la differenza. Il fatto di crescere da un punto di vista sportivo, ma anche personale, mi ha poi avvicinato a questo mondo perché sentivo che c’erano persone molto allineate a quella che era la mia visione. Adesso sono anche membro di giunta CIP: mi inorgoglisce, ma ancora di più mi trasferisce questo senso di responsabilità".

 

    Che rapporto ha con i social?

 

    "È strano pensare che Instagram sia fatto di immagini, però il mondo è ora pervaso da tutto questo. Una notizia, anche bellissima, se comunicata male conta poco. L’ambizione più grande è unire la sostanza ad una comunicazione adeguata. Io vado molto nelle scuole e dopo gli incontri i ragazzi mi scrivono perché questa è la loro modalità. Quindi da quando ho iniziato, ho capito che la partita non si gioca solo nell’ora e mezzo in cui si sta insieme. Bisogna anche accettare e gestire queste dinamiche da social. È un po’ una partita fuori casa per me, però ne vale la pena: un conto è veicolare un messaggio a 50 persone, un conto a 50 mila".

 

    Lei è laureato in fisioterapia, quanto è stato importante?

 

    "Molto. All’inizio furono molti i pregiudizi, ma poi la soddisfazione personale fu tanta. Quando una persona viene messa nelle condizioni di lavorare, può dare più. Il lavoro è importante anche perché si viene a creare una propria dimensione. Quando ci si incontra con le persone, si parla degli interessi, del lavoro. Poi io negli ultimi anni un po’ virato sulla formazione aziendale, quindi uso la metafora sportiva anche per portare contenuti di valore nelle aziende".

 

    Lei ha anche scritto due libri, "Il vento contro" e "Insegnare al cuore a vedere".

 

    "È stata una grande soddisfazione. Il fatto che De Agostini abbia sposato questo mio progetto mi ha fatto sentire molto gratificato. È stato un percorso dentro di me in primis e poi è stato un percorso anche di grande rispetto nei confronti del lettore, quindi ce l’ho messa tutta".

 

    Prossimi obiettivi?

 

    "I Mondiali a settembre a Sacramento, in California. Purtroppo per la mia federazione non è un momento facile perché è commissariata, però mi auguro e credo che saremo in grado di costruire la stagione sportiva. A livello personale, l’obiettivo è di crescere sul piano professionale, quindi continuare a occuparmi di formazione perché sono il primo che da questa professione porta a casa tanto".

 

    Sogno nel cassetto?

 

    "Che ogni bambino con disabilità faccia sport e che ogni bambino faccia sport. Bisogna riprendere il contatto quotidiano con il movimento. Nelle mie visite a scuola, dei professori mi hanno confidato che alcuni ragazzi alle prime difficoltà si scoraggiano: questo ci fa rendere conto che i ragazzi non sono abituati a confrontarsi con le difficoltà, invece lo sport ti aiuta in questo e ti fa crescere. È un continuo confronto con le difficoltà".



    Maria Colucci



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